Scuta
Sono nata in un luogo tra il mare e i vulcani , tra acqua e fuoco, una Sicilia di tradizioni direi sciamaniche che stanno scomparendo. Un giorno mio padre parlando per caso della sua infanzia si è ricordato di quando “ si facìa a scuta”. Ho voluto saperne di più, scoprendo che, qualche volta quando lui era bambino e si volevano notizie, ad esempio, di suo fratello che era in guerra (ovviamente non c’erano i telefoni) ci si metteva a “scutare”. Era una specie di riunione in cui si doveva stare in silenzio… non solo i familiari ma anche i vicini; si prendeva una sedia e mettendosi in cerchio si “scutava”, si aspettava, in ascolto di qualcosa di indefinito…un rumore, un suono, un gesto inconsueto, un accadimento improvviso e inaspettato… qualcosa che rompendo il silenzio potesse essere interpretato come un segno, un messaggio, una risposta alla domanda.
“Scutare” in siciliano significa ascoltare ma può essere usato anche con il significato di vedere o anche di aspettare. Aspettare di sentire e vedere tutto in un’unica parola: “a scuta”. Per poter scutare occorre dimenticare sé stessi e, connettendosi con gli altri, sincronizzandosi con l’universo diremmo oggi, avere un unico scopo: riuscire a sentire che messaggio può giungere al di là di spazio e tempo … ascoltare un silenzio che parla.
La sensibilità semplice dello stare in ascolto cogliendo i messaggi che l’universo ci dà, che noi spesso consideriamo coincidenze ma che Jung chiamerebbe sincronicità, è stata soffocata ormai dall’estrema razionalità, dalla necessità di voler spiegare tutto quando a volte una spiegazione razionale non c’è. La nostra capacità di ascolto è andata perduta… soffocata dalla tecnologia.
Eppure siamo alla ricerca di questa sensibilità perduta con l’avvicinarci alle filosofie orientali; questa sensibilità però non è solo dell’oriente… è dell’umanità. Dall’oriente possiamo apprendere le tecniche ma è alle nostre radici che dobbiamo tornare, alla memoria dei nostri antenati, che è conservata nelle nostre cellule…
Sono grata di questo ricordo che in qualche modo mi appartiene. Era la nonna di cui porto il nome che guidava la “scuta”… ed in qualche modo ciò che faccio adesso è nella memoria delle mie cellule.
Mi è accaduto di incontrare il Tai Chi che è un’arte nata in Cina ma divenuta patrimonio dell’umanità e me ne sono innamorata; praticando ritorno ad acqua e fuoco, riunendo cielo e terra, così mi sembra di superare i confini che l’uomo ha messo nel mondo. La Forma è uno dei modi per ritornare al sé, sensibile e sincronico, purché si riesca ad andare oltre la forma come mera sequenza di azioni e si voglia cercare il vero significato di meditazione in movimento. Impariamo a meditare, impariamo tecniche che permettano di ritrovarci… riappropriamoci dell’ascolto per poter “scutare” nuovamente le parole del silenzio.
brano tratto da “Poetica del Tai Chi – appunti di Tai Chi Immaginale” di Donella Bucca